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What else? 

Niente, niente proprio.
Questa è la a risposta, la domanda la pone il libro di Simi che si intitola Cosa resta di noi?

Lo cominci, ti appassiona pure all’inizio perché prima accennano ad un omicidio, poi cambia la scena e abbiamo marito e moglie che cercano di avere un figlio. 

Il Lui della storia nasce bagnino e poi diventa gestore del stabilimento di famiglia; la Lei è una blogger che vuole fare la scrittrice; lei vive a Roma e lui a Viareggio. 

E fino qui.

Lui da solo fa lavori nello stabilimento e conosce Anna, che si invaghisce di lui, che ha un ex fidanzato e che ad un certo punto sparisce e, presumibilmente, muore.

Il libro è tutto in superficie: il rapporto tra marito e moglie che si vorrebbe fosse un grande amore (e magari pure lo è!) ma non viene fuori; la passione della scomparsa per il Lui della storia che, però, è sfumata, accennata; la rabbia dell’ex che è evidente ma poco relazionata.

Boh! 

L’impiccio c’è, pure forse il colpo di scena ma, a parte che devi aspettare più di tre quarti di libro, e poi?! Mah! 

Veramente non so come raccontarvelo il libro.

Si legge eh, poco per volta lo finisci pure ma non è che non vedi l’ora di tornare a casa per prenderlo in mano, non è che ti travolge. Almeno a me non è successo. 

Sicuramente denuncia certa televisione colpevolista, le trasmissioni inutili ed improntate sul niente, la sete di scoop che prima ti porta alle stelle e poi alle stalle ma il protagonista che pensa, che vuole, chi ama? 

Ancora non sono riuscita a capirlo.

Si lascia vivere e per lo più subisce le decisioni degli altri: di Anna, della moglie Guia, dell’ex di Anna. 

Un protagonista non protagonista! 

Infarcito di luoghi comuni su: i casi di cronaca; i famosi che si perdono per alcool e droga; le scrittrici/giornaliste che si appassionano dei presunti colpevoli; le coppie che si perdono se legate solo dalla voglia di un figlio.

Questo è.

Vabbè, io l’ho letto, voi penso possiate leggere di meglio. Siete esentati. 

Il capitale disumano

Apprendo ora che Il capitale Umano di Virzì è il candidato dell’Italia agli Oscar. Quando l’ho visto ho scritto questa recensione e, dato che l’anno scorso ho fatto la stessa cosa con La grande bellezza, ve la ripropongo. Chissà che non porti bene!
“Metti una domenica pomeriggio al cinema; metti che per arrivarci becchi l’uscita dallo stadio; metti che quando arrivi c’è il delirio di gente; metti che l’amico tuo trova l’ultimo biglietto disponibile; metti che fai 20 minuti di fila perché il cinema che hai scelto (Nuovo Sacher)non ha i posti numerati; metti che quando finalmente ti siedi pensi: dopo tutto ‘sto casino speriamo che ne valga la pena! Metti che alla fine ti alzi e pensi “dopo tutto ‘sto casino ho visto un bellissimo film!”.
Il capitale umano è questo: davvero un bel film, uno di quelli che ti alzi, esci dal cinema, mangi una pizza, torni a casa e ci ripensi.
Uno di quei film che non ti lasciano.
Virzì mi fa più o meno sempre questo effetto ma questo film ha qualcosa in più.
A parte il fastidio iniziale di sentir parlare (da romana) il dialetto “leghista” (perché non si può parlare di milanese, è qualcosa di più) il film è costruito benissimo.
Fondamentalmente un giallo. dal momento che da un episodio di cronaca si dipana una matassa che porterà a scoprire un colpevole, attraverso la narrazione dello stesso episodio con gli occhi di tre dei sette protagonisti.
Ambientazioni grigie; case lussuose; attori bravissimi:
Bentivoglio è una garanzia, bravo bravo bravo;
Valeria Bruni Tedeschi per me una rivelazione. Davvero brava nella parte della signora bene ignara degli affari del marito, della vita del figlio, un po’ svampita nella sua vuota vita ma che, alla fine, risulta fondamentale nella risoluzione della vicenda;
– brava e bella anche Serena, la figlia adolescente di Bentivoglio che si innamora, disinnamora, protegge, scopre… insomma vive situazioni decisamente più grandi di lei;
– bravo anche Gifuni nella parte del magnate senza scrupoli.
Insomma, bravi tutti (Golino compresa).
Io adoro i film in cui episodi uguali vengono narrati con occhi diversi; scoprire la verità guardandola da vari punti di vista, ma non è facile, bisogna saperlo fare, e Virzì ci è riuscito benissimo.
Al di là della storia resti, peró, basito dall’analisi cruda della nostra società anche se poi non manca un filo di speranza nel finale… ho scritto “speranza”?! Va bè, forse.”

in bocca al lupo, Paolo.