Aspetto Robecchi tutto l’anno ed è capitato in questo periodo dell’anno che mai avrei pensato di vivere e come me tutti voi immagino.
Arriva e stai in quarantena e pensi: “Beh, lo divoro!” ma che… niente, 5 pagine a sera, una lentezza che manco alle elementari. “E perché?” direte voi, non ti è piaciuto il libro? Ma no, anzi. E’ sempre un bel leggere Robecchi, sempre pulito divertente, milanese.
No, è che la quarantena (strano a dirsi) non aiuta la mia voglia di leggere.
Sarà che cambiando vita cambiano anche le abitudine, eppure dovrebbe esserci più tempo; eppure dovrebbe essere più facile, che vi devo dire?! Non è così.
Comunque è finito e mi è piaciuto, anche se la presenza del mio beniamino ed adorato Carlo Moterossi è solo accennata. C’è all’inizio e c’è alla fine perché in mezzo è un lungo racconto di uno dei protagonisti di sempre che ha vissuto un’avventura privata, ha bisogno di raccontarla a qualcuno e la racconta a Carlo.
Non vi aggiungo altro: non vi dico chi racconta, non vi dico chi riguarda, certo è che è uno dei miei preferiti della saga.
Mi è mancata la governante di Carlo, ve lo devo dire: fa un’apparizione all’inizio e nulla più.
Fa impressione leggere di Milano ora che Milano è trasformata, soprattutto nell’immaginario collettivo. La quarantena trasforma proprio la percezione delle cose ma non ci avrà. Tornerà la “Milano da bere” di Carlo e forse è giusto (avrà avuto una premonizione Robecchi) stare in casa a sentire solo chiacchiere, solo un racconto, senza azione, tutto riportato, proprio come accade ora.
Aspettiamo tempi migliori per la Milano di Carlo, di Robecchi e di tutti noi, nel frattempo leggetene tutti che vale sempre la pena.