Una aspetta tutto l’anno che esca un nuovo libro di Manzini su Schiavone, esce il libro, lo legge e poi si deve incazzare.
E questo perché, senza voler spoilerare niente, ti lascia come una cretina.
Finisce in un modo che non ti aspetti, quando non è prevista una fine e a me questo dover rimanere appesa per un anno è cosa che mi fa incazzare.
Poi arriva un mio amico che mi dice: “se avessi letto la terza di copertina già lo avresti saputo e ti saresti evitata l’incazzatura!” e invece no, perché me la sarei solo presa prima.
Comunque “io cuore for ever and ever” Schiavone ed il modo di scrivere di Manzini, è una garanzia di bella lettura in un mondo di ciarlatani.
Rocco è sempre il solito burbero buono e la storia del delitto si incastra con quella sua personale, che è sempre tragica, ma con una luce in fondo al tunnel, che si comincia a vedere.
Non vi dico l’impiccio con Gabriele: il vicequestore è un uomo buono; non vi dico il casino con Italo: il vicequestore è un uomo buono; non vi dico la malinconia con la pianta di limoni: il vicequestore è un uomo buono.
Succede questa cosa meravigliosa con i libri di Manzini: li prendi, li inizi e non lo molli più fino a quando non li hai finiti perché fanno ridere, piangere, riflettere anche con un burbero vicequestore romano in mezzo ai monti della Valle D’Aosta.
Siamo al Casinò questa volta, precisamente quello di Saint Vincent e c’è il solito omicidio però non tanto solito; c’è un giro di soldi; un vizio brutto che è quello del gioco da cui non si riesce ad uscire; c’è un cellulare che non si trova; un segreto che non si scopre… ci sono un sacco di cose che restano tra color che soon sospesi.
Ecco, ed ora io mi chiedo come devo impegnare il tempo fino alla prossima puntata.
Che brutta storia.
Uffa.