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Il cielo non è per tutti

Una mia carissima amica a Natale mi ha regalato il libro di Barbara Garlaschelli, Alice nell’ombra, che ho già recensito. La stessa amica, l’altra settimana mi ha regalato il nuovo libro di Barbara ossia Il cielo non è per tutti.

Ora io non finirò mai di ringraziarla perchè incontrare una scrittrice come Barbara nella propria “carriera” di lettrice è una fortuna.

Dovete sapere che io hI un pregiudizio (e me ne rammarico molto!) sulle scrittrici donne, nel senso che tendo a scegliere sempre scrittori uomini e sono loro i miei preferiti. Non è una questione di genere è che trovo che tendenzialmente siano più lineari, meno arzigogolati nella scrittura, meno prolissi. Ecco, Barbara è una di quelle scrittrici che mi fa ricredere sul pregiudizio.

Barbara ha una scrittura pulita, affascinante. Adoro il suo modo di costruire i romanzi. Lo adoro. Mi piace anche tantissimo il suo modo di delineare i personaggi che, nella fattispecie, sono dei preadolesceti. Ho ritrovato delle caratteristiche di Ammaniti, soprattutto del suo ultimo romanzo, per dire.

Non è facile parlare di adolescenti o meglio definirne i contorni immedesimandosi in loro e non è facile perché penso sia il più complesso e indefinito periodo nella vita di una persona.

Del libro ho apprezzato infinitamente la struttura ma perché io ho proprio un debole su questo tipo di libri: un fatto e 20 angolazioni, 20 prospettive, 20 pezzettini che costruiscono un puzzle. Ecco io per le storie così vado pazza.

Giacomo ed Alida sono i protagonisti e poi ci sono i di loro genitori: Regina, mamma e papà di Giacomo, e poi c’è Samuele, il fratello di Giacomo ed Elia, e poi Christian e Delia. Ognuno di loro portatore sano di un pezzetto di storia.

Una bella storia: di amicizia e di fuga; di famiglia e di violenza; di crisi e di povertà; una bella storia. Mi è piaciuta molto.

Ho adorato Giacomo, apprezzato Alida, odiato Regina, capito Anna, perché ti appassioni e vivi la storia con loro.

Brava Barbara, grazie amica e leggetene tutti!

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L’ultimo ballo di Charlot

Quando io, ma ormai lo sapete, sbaglio un paio di libri di seguito mi butto sul sicuro. Se è uscito De Giovanni prendo lui, o Manzini o qualcuno che conosco e che male non mi può fare. Ora nel mio albo dei preferiti è entrato a gamba tesa Fabio Stassi (colui che ha scritto Ogni coincidenza ha un’anima di cui vi ho abbondantemente parlato).

Stassi ha un modo di scrivere così delicato, pulito, poetico, semplice (senza essere banale) che potrebbe fare anche una lezione sulla fisica quantistica e risulterebbe comprensibile.

Costruisce storie raffinate ma accessibile.

È bravo. Punto.

Qui la storia è quella di Charlie Chaplin, L’ultimo Charlot. Si muove su due binari: la sfida di Chaplin con la morte e la storia della sua vita raccontata al figlio più piccolo, Christopher.

Stassi immagina che Chaplin con la morte se la giochi , lei lo passa a trovare una notte di Natale e lui le propone una sfida: se la farà ridere tornerà l’anno successivo e così va avanti per ben sei anni. E’ macabro e divertente il rapporto che si instaura tra i due e fa da intercalare alla biografia di Charlot raccontata al figlio piccolo in una lunga lettera che termina con una frase bellissima: “solo nel disordine dell’amore ogni acrobazia è possibile”: punto, partita, incontro, match, Roland Garros, Wimbledon, Australian Open e tutta la compagnia del tennis.

Non sto qui a raccontarvi la storia di Chaplin, non so quanto romanzata da Stassi, ma non fa niente. Si legge che è un piacere. Il suo rapporto con il cinema, con il teatro, con il circo, con i mille e uno mestieri fatti prima di trovare la strada giusta.

E’ un gioiellino questo libro e Stassi una boccata d’aria in mezzo a un mare di gente che non sa scrivere.

Leggetene tutti.

Romanzo rosa

Avete presente i libri divertenti?!

Ecco, questo è uno di loro.

Mi sono davvero divertita a leggere Romanzo rosa di Stefania Bertola.

Leggero, veloce, spensierato.

Proprio di quelli che ti metti lì e lo finisci veloce.

Mi ha fatto ridere.

La protagonista è una donna di 58 anni, sola, bibliotecaria che si mette a fare un corso per poter scrivere romanzi rosa. Insieme a lei un gruppo variegato di persone (più donne che uomini) che, seguendo i consigli di una scrittrice del genere, ne scriveranno a loro volta uno.

Che vi devo dire: le storie nelle storie mi sono sempre piaciute. Trovo interessante la struttura dei libri che ti raccontano una cosa e poi ti lasciano appesa per raccontartene un’altra.

Immaginate qui una storia di persone che vivono una vita normale si giorni nostri, intervallata dall’aulico linguaggio di un romanzetto di appendice con una storia d’amore mielosa al limite della carie e che deve superare piccoli ed insormontabili ostacoli per l’happy end.

Vi dico che se vi va di leggere e stare “senza pensier” è la lettura che fa per voi.

Chiamami con il mio nome

Che libro bellissimo ragazzi, che libro bellissimo!

Ok, partiamo dall’inizio.

Altro libro regalato a Natale: Chiamami con il tuo nome di Andrè Aciman.

È importante anche capire chi ti regala quale libro eh, cioè per me lo è perché penso sempre: ma perché hai scelto proprio questo per me?!

È successo anche in questo caso, soprattutto in questo caso, ed una risposta non sono riuscita a darmela. O meglio, una vi sarebbe, mi piacerebbe fosse quella ma vai a sapere per cui non ci penso più e vado avanti.

Che meravigliosa storia d’amore è questo libro.

ME RA VI GLIO SA.

Vi dico: per le prime 80 pagine un po’ vi annoiate perché rimanete intrappolato in una specie di ossessione.

Vi spiego.

Abbiamo un ragazzo, Elio, di una famiglia colta e benestante, che ospita ogni anno un allievo del padre per una specie di vacanza studio. Nell’estate dei 17 anni di Elio arriva Lo statunitense Oliver, un bellissimo ed affascinante ragazzo di 24 anni. Qui parte l’ossessione: il vorrei ma non posso; il vorrei ma non vuole; il vorrei ma lui non può scegliere me etc etc esattamente come succede in quegli anni terribili dell’adolescenza.

Poi il coraggio di dichiararsi; poi lo stupore di riuscirci; poi la gioia di chiamarsi con il nome dell’altro; poi la felicità dello stare insieme; e poi basta sennò il libro non lo leggete.

Un’esplosione, ad un certo punto il libro esplode e non lo potete più lasciare.

Che bello, che bellissimo!

Vi dico solo che mi sono talmente entusiasmata che sono andata a cercare il dvd del film che ne hanno tratto che, però in Italia, ancora non è neanche uscito.

Non vi so dire quanto è: ben scritto, crudo, emozionante, commovente.

Non vi so dire quanto è bello nonostante: la pesantezza dei primi racconti; l’inutilità di alcuni passaggi (tipo il poeta in Thailandia); la rabbia di certe risposte.

Prendetelo e leggetelo, perché io ho urgente bisogno di parlarne con qualcuno.

Io vado avanti, voi restate.

PS: mi rimane il dubbio se io, nella testa di chi me lo ha regalato, sono: Elio (l’adolescente ossessionato!); Oliver (lo sfrontato innamorato); o noi siamo tutti e due, legati da un amore che non finisce. Personalmente: non mi ritrovo nella prima ipotesi, preferisco la seconda, ambisco alla terza.

Souvenir

Ho finito il libro precedente in tempo in tempo per il 6 dicembre quando è uscito l’ultimo della serie dei Bastardi di Pizzofalcone, di uno dei miei scrittori preferiti che ormai sapete essere Maurizio De Giovanni.

In 20 giorni ho finito il libro che ne avrebbe richiesti molti di meno, se non fosse che è arrivato in un periodo in cui le cene prenatalizie mi hanno fatto leggere pochissimo.

Comunque, l’ho finito e Maurizio non delude. Mai.

Neanche se sapesse che ottobre è stato un mese decisamente particolare per me, il libro è ambientato proprio ad ottobre.

I Bastardi ormai sono una garanzia di riuscita e questa volta non sono alle prese con un omicidio ma con la brutale aggressione ad un cittadino americano.

Si scopre la storia del tipo che nasce da una storia di amore impossibile e a distanza. Una mamma attrice e un papà cameriere.

Come al solito non sto qui a raccontarvi la trama perché dovete leggere ma vi dico che, meno delle altre volte, le vite dei protagonisti entrano nel racconto.

Un po’ meno di sa di Laura e il cinese; meno si sa di Romano e le due Giorge e Susy (oddio, qui qualcosa di più si sa!); meno si sa di Alex e la sua love story; meno si sa di Aragona e la sua cameriera; meno si sa di Ottavia e Palma; meno si sa di Pisanelli e il frate… meno ma abbastanza per rimanere con il fiato sospeso fino alla prossima avventura.

E non vedo l’ora, anche se mi devo dedicare ai libri che mi hanno regalato a Natale perché, per fortuna, c’è sempre qualcuno che si ricorda quanto ami leggere.

Leggete tanto, leggete bene.

PS: “ottobre da dimenticare, ottobre da ricordare” è, per me, la frase migliore del libro non vi sto a dire perché ma Maurizio, manco lo sapesse, me l’ha immortalata. Grazie.

La locandiera

Fatto nr. 1: il 6 gennaio vado all’Ambra Jovinelli a vedere Mastandrea e compro biglietti per il 1° marzo.

Fatto nr. 2: dopo un mese scopro che il 1° marzo ci sarà il derby Lazio-Roma e che io, a seguito del fatto 1, non potrò vederlo.

Fatto nr. 3: la Roma perde il derby e lo spettacolo che ho visto è anche decisamente trascurabile, per non dire “brutto”.

Poi dice che una non lancia improperi.

Lo spettacolo comunque è: La locandiera con Laura Morante.

E devo dire che il titolo e la Morante sono le cose più belle  che già, volendo, non è poco.

La trama piuttosto banale.

Momenti di puro imbarazzo con alcuni dialoghi improbabili.

Ripeto: lei bravissima, bella tanto è proprio brava, con un dialetto toscano, e nella parte della donnina scema che poi ti risolve la questione come non ti aspetti.

Sugli altri attori preferirei non dire, perché davvero non ci sono parole soprattutto per le due inutili (anche come parte) ragazze; e tra le due, la bionda peggio della castana; anche sul tipo che fa affari con i russi preferirei stendere un pietoso velo, direi pietosissimo sul finale; altre tre figure maschili non meglio identificate nè pervenute.

Che dire?! Se cominci ad andare a teatro due volte a settimana non puoi pretende che tutti gli spettacoli riescano con il buco e ci sta, però, vi dico: “lasciate perdere se potete”.

Comunque il teatro è vivo, evviva il teatro!

 

Ci sono notti che non accadono mai

“E ora sto dietro al Commissario Ricciardi di De Giovanni, tra un po’ finisco e non so proprio a chi dedicarmi” e lui “Ma hai mai letto Missiroli?” E io “No” e lui “E allora inizia”. E così ho fatto.

E dato che non sapevo da dove cominciare, ho cominciato da Atti osceni in luogo privato perché mi piaceva la copertina, perché mi piaceva il titolo.

Non so come siano gli altri ma ho fatto molto bene.

Mi é piaciuta molto la storia di Libero, il romanzo della vita di un uomo che va dall’adolescenza alla maturità.

Dal trasferimento a 13 anni da Milano a Parigi, con sciopero della fame di due giorni per impedirlo, al ritorno ed alla stabilizzazione su Milano dai 20 anni in poi.

É un bel libro per chi, come me, é affascinato dalla letteratura e dal cinema e dai turbamenti amorosi.

A 13 anni non sei nessuno, cominci piano piano a scoprire te stesso e poi gli altri: dal sesso all’amore, dall’insofferenza ad ogni cosa agli interessi per l’universo mondo; dai libri al cinema.

Libero é un bimbo intelligente prima, un uomo stabile e realizzato poi, ma per diventarlo deve passare, come tutti, in mezzo a mille e uno episodi.

La scoperta dell’onanismo prima e del sesso lo porteranno all’amore.

La voglia di giustizia prima e di altruismo poi segneranno la sua professionalità. 

Una famiglia come tante squartata dal migliore amico del papà. 

Un papà colto e un po’ depresso che lo introduce a Camus e Sartre e Buzzati E per finire con Rodari.

Un primo amore bellissimo e doloroso.

Una madre teatrale e affettuosa.

Un amico da tradire.

Un mondo letterario da scoprire e attuare nella vita di tutti i giorni.

Un’amica da preservare.

Una donna da sposare contro la propria coscienza.

Una Milano da conquistare.

Un Togliatti da seppellire.

Un’Alda Merini da incontrare e non riconoscere.

Una Parigi da lasciare.

Insomma, questo libro é tante cose: una scrittura veloce; una prosa semplice; un faticoso e affascinante nozionismo; un curioso sforzo di memoria.

Tante cose e piacevoli da immagazzinare anche se poi mentre divori il libro e stai lí e ti chiedi ma come l’hai già finito?!”, l’unica risposta che ti viene in mente é “eh sì, perché “Eravamo insieme, tutto il resto l’ho dimenticato””.

Intrappolati nella tela

Sono sempre preoccupata quando un autore mi chiede di leggere il suo libro.

Già vi ho spiegato com’è andata con il mio amico al quale, per paura di deluderne le aspettative, ho tenuto ferme le 50 pagine del romanzo per mesi.

Con lo stesso timore ho prima acquistato e poi letto Amata tela di Giulia Madonna e, vi devo dire che, per come sono fatta io e per la scrittura che piace a me, dopo circa 10 pagine il mio istinto era quello di abbandonarlo.

Poi, però, il libro mi ha catturata, mi ha avvinghiato nella sua tela… che non è quella del ragno come pensavo io!

Era la scrittura che mi respingeva: sembra talmente costruita da dare fastidio all’inizio; ero lì che pensavo “e sbaglialo un congiuntivo!” e no, nessun congiuntivo né passato remoto messo fuori posto, forse qualche ripetizione qua e là, ma nell’insieme si percepisce la cura di chi scrive.

Forse era un po’ che non leggevo un romanzo d’amore e, forse, in questo periodo ne sono troppo distante, ecco perché all’inizio ho faticato a capire il travolgente amore di Eugenio e Francesca che nasce negli anni ’80 per chiudersi (?!) ai giorni nostri.

Artista più o meno maledetto lui; architetto più o meno inquadrato lei. Si conoscono, si amano alla follia di un amore, però, passionale e possessivo, troppo possessivo tanto da allontanarli per tanto, troppo tempo. Salvo poi riunirsi?! Non so, leggetelo e vi saprete rispondere.

Con loro ci sono Eros, Carlo e Anita e il papà di lei. Stop, finito, così pochi personaggi per una storia d’amore che vi porterà alle lacrime di gioia o di dolore?! E dai, NON SO: leggetelo e vi saprete rispondere.

 

Sintetizziamo

Spesso mi dicono che non leggono le mie recensioni di libri se non dopo averli letti.

A parte invidiarli, perché questo vuol dire ricordarsele durante la lettura del libro e io non riesco neanche a ricordarmi la trama, letta nella retrocopertina neanche per il tempo di arrivare alla cassa quando ne compro uno. Comunque, vorrei essere più utile e così ho deciso di dare dei consigli per gli acquisti letterari, limitandomi alle letture di questo 2014 che, per carità, ancora non è finito, ma Sono le più fresche.

Dei 24 libri letti (con altri 2 attualmente in lettura) vorrei darvi le seguenti indicazioni:

  • leggete sempre e comunque, apre il cuore e la mente;
  • cercate uno qualsiasi dei libri di Francesco Abate, più facilmente troverete l’ultimo “Un posto anche per me” , ma va bene anche uno qualsiasi dei precedenti. La sua scrittura è pulita, lineare e divertente. Non ve ne pentirete;
  • cominciate la trilogia della Ferrante, soprattutto ora che siamo in prossimità dell’uscita del tanto atteso quarto libro: appassionante, ben scritto, coinvolgente. Leggetela;
  • evitate, se vi è possibile, un mattone come Shantaram: prolisso ed inutilmente lungo. Per onestà intellettuale devo dirvi, però, che piace a quasi tutti, a me no. L’ho odiato e maledetto, ma finito perché non mi piace lasciare le cose a metà;
  • leggete qualsiasi cosa, magari un genere che pensate non vi piaccia scoprirete che vi appassiona;
  • se volete una lettura senza pensieri Omicidi in pausa pranzo fa il caso vostro;
  • ho scoperto Andrea Vitali, un po’ ostico all’inizio ma poi rassicurante. Provate.
  • Giorgio Fontana sa scrivere, seguite il consiglio letterario del premio Campiello;
  • il fatto che vi piaccia a prescindere un autore potrebbe spingervi a comprare il suo ultimo libro, ok compratelo ma poi non dite che non vi avevo detto che a volte si può rimanere delusi (vedi la Mazzantini con Splendore; o King con Nell’erba alta); per lo stesso principio se avete amato un autore e ne avete letto il capolavoro aspettate un po’ prima di scegliere un altro suo libro;
  • se cercate un giallo ok La verità sul caso Hanry Quebec; se cercate un romanzo: provate qualcosa di più allegro rispetto a Storia di una ladra di libri, magari buttatevi su Stoner; se avete poco tempo lggete: Tubì Tubì.

Da ultimo (come dice chi parla bene) state sempre sintonizzati su kiukylandia, sezione libri e buona lettura a tutti!

 

Sto…ner

Non so voi ma io scelgo i libri o su consiglio di amici o perché ne sento continuamente parlare.

Con Stoner è andata così: ne ho sentito continuamente parlare.

La prima volta per radio quando, non mi ricordo chi, ha chiesto ad un libraio qual era un libro assolutamente da leggere e lui ha detto questo; poi l’hanno postato sulla mia bacheca di Fb, anche lì consigliandolo; poi su Twitter; e poi di qua e poi di là e chi sono io per non leggerlo?! Quindi lo compro e lo leggo.

Se nelle prime tre pagine del libro l’autore ti dice già che si tratta della storia di un uomo un po’ inutile, non ci sono grossi motivi per andare avanti, in teoria, e invece, piano piano, li trovi nella lettura.

La scrittura ti cattura, la “non storia” di questo inutile personaggio ti costringe a divorare il libro perché pensi: vedrai che ora questo farà una strage; scoprirà un vaccino; morirà in guerra, insomma fará qualcosa di eclatante che valga la pena di leggere e, invece, non succede nulla di tutto questo. Più vai avanti e più ti accorgi che davvero è la biografia neanche troppo avventurosa, neanche troppo interessante di un figlio di contadini che: diventa professore universitario; ha un matrimonio infelice, con una donna quanto meno odiosa, con la quale “fa” (laddove fare é il verbo adatto) una figlia che gli viene a mano a mano allontanata; ha una carriera universitaria scialba; ha un’amante (sì, pure lui, ma d’altronde chi non ce l’ha?!); ha una vita più o meno lunga che finisce in un modo anche qui banale.
Il libro, peró, va letto perché è un fantastico esempio di cosa voglia dire essere bravi scrittori; di come si possa rendere interessanti delle storie che di per sè non lo sono; di come si possa attirare l’attenzione su una “non storia”.

William Stoner ti infastidisce, ti cattura, ti fa venire voglia di menargli e poi di coccolarlo, ti provoca una pena infinita e poi ammirazione; e ti rendi conto che, piano piano, cominci ad amarlo perché, pur essendo stato scritto nel 1962, pur con un’ambientazione a cavallo tra le due guerre, William Stoner è inevitabilmente, indiscutibilmente, infinitamente uno di noi!