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Si nota all’imbrunire

Converrete con me che il Teatro Argentina a Roma è il Teatro con la T maiuscola, quello dove da sempre fanno anche le “pesantate” (non so come meglio definirle) cioè quegli spettacoli non proprio da Zelig. Tanto per dine una: questo inverno mi sono ritrovata a guardare la Turandot, ma non quella che conosciamo tutti, bensì proprio quella che mettono in scena in Cina, in cinese… non vi sto qui a dire, potete immaginare.

Quindi, se volete vedere: Servillo, Orlando, Popolizio etc. dovete andare lì.

Bene, io ci sono andata quest’anno a vedere la Cina (e vabbè!), Popolizio, ieri sera Orlando e poi andrò a vedere Servillo.

E vorrei parlarvi di Orlando giustappunto.

Bravo, bravissimo lui; bravi, bravissimi gli altri; bello, bellissimo lo spettacolo.

Ieri era la prima, Vi sto dicendo proprio perché vorrei che lo vedeste tutti, almeno in molti.

Sulla carta è una “pesantata”, ve lo dico, perché lo spettacolo parla di un burbero asociale; un uomo (Orlando appunto) che dopo la morte della moglie si trasferisce in un non meglio precisato luogo e passa le sue giornate in totale solitudine. Fino a che non arriva il giorno del suo compleanno, che coincide anche con la ricorrenza della morte della moglie, e, quindi, suo fratello ed i suoi tre figli vanno a trovarlo.

E qui la sorpresa perché quello che si pensa essere uno spettacolo tristissimo, tristissimo non è e la bravura degli attori, nonché il testo, lo rendono decisamente divertente.

Riccardo, il figlio del protagonista, che invece si chiama proprio Silvio, fa ridere appena entra in scena in pigiama e birkenstock. Un omone abbastanza ridicolo ma con la battuta pronta, divertente assai; la figlia poetessa è decisamente simpatica e fa passare per proprie poesie di illustri autori; il fratello, Roberto, è bravissimo sia nei monologhi che nelle scene fisicamente più impegnative; l’altra figlia depressa, è una Magda moderna. Insomma sono tutti perfetti, ben amalgamati, funzionano benissimo. Così come la scenografia e i costumi e le luci.

Orlando è immenso. Mi è piaciuto tantissimo, ma proprio tantissimo.

Il finale è di quelli che ti lasciano l’amaro in bocca, commovente, sorprendente e giustissimo, non banale, azzeccato, perfetto.

Ad oggi è il secondo spettacolo più bello che ho visto quest’anno perché vince sempre un altro ma questo secondo posto è meritatissimo.

Il teatro è vivo, Viva il teatro.

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Paolina

Vi ricordate l’amico che ho prima costretto e poi esonerato dal leggere L’idiota?!

Bene, ora toccava a lui scegliere il libro da leggere insieme ed ha scelto Paolina di Marco Lodoli.

Ci ha messo un po’ (io nel frattempo ho letto altri 4 libri), la scelta è stata ponderata, e comunque: individuato e letto.

Il libro si compone di sole 100 pagine il che, per quanto mi riguarda, lo classifica più tra i racconti (magari lunghi) che tra i romanzi.

Dunque, sicuramente la sua scelta è stata più azzeccata dalla mia, sicuramente ci ha pensato di più (ma lui legge la terza di copertina e magari gli è più facile!), sicuramente la prossima volta dovrò applicarmi meglio, sicuramente però non ho letto un capolavoro.

Paolina è una ragazzina di 15 anni che scopre di essere incinta e nella giornata in cui deve decidere cosa fare di questo bimbo attraversa varie parti di Roma nord, a piedi, compiendo una serie di incontri quanto meno surreali: una zingara, un professore, 3 ragazzi probabili padri, 3 cartomanti e poi varie ed eventuali.

Ragazzi, il libro è di una tristezza rara. Questa Paolina ti prende allo stomaco, ti fa tenerezza e poi ti fa incazzare e poi pensi: “ma che sto leggendo?!” e poi ti riappassioni e poi la prenderesti a pizze e poi la accarezzeresti. In 100 pagine non è da tutti suscitare queste emozioni quindi magari Lodoli è stato anche bravo ma c’è qualcosa che mi è sfuggita forse.

Paolina è sola sola, troppo sola per una ragazzina di 15 anni che non va a scuola, fa sesso 3 volte in vita sua e resta incinta. Nel favoloso mondo di Kiukylandia, che è un po’ parente di quello di Amelie, Paolina non può esistere così sola, a 15 anni. Ed è vero che ha solo una mamma ed è figlia di un errore (o una violenza non sappiamo bene) però troppo.

È talmente tutto così assurdo che ad un certo punto diventa normale.

È normale che non vada a scuola, che passi la giornata girovagando, che nessuno la cerchi; è normale che incontri una zingara e riveli ai 3 possibili padri di aspettare un bambino; è normale che venga trattata male da tutti; è normale secondo voi?

Io non so, soprattutto non so se mi piacciono queste storie assurde che stanno a metà tra la realtà e la fantasia.

Comunque il libro è scritto bene, lo leggi volentieri, è tanto breve che io un’altra cinquantina di pagine magari le avrei lette pure per capire da dove viene e dove va Paolina.

Certo una sfiga, povera figlia!

Io dico che dobbiamo ritentare la lettura condivisa perché pure questa, sebbene meglio della prima, non mi ha convinta.

Andiamo avanti!

Sulla mia pelle

Ieri ho visto Sulla mia pelle.

Ieri, dopo averlo visto, ho pensato che non sarei riuscita a scriverne sul blog ed ho solo scritto un tweet perché dovevo spiegare come mi sentivo. Il tweet è questo:

Cattura

Oggi, che il film si è assestato sulla mia pelle, sento proprio il bisogno di raccontarvi.

Punto 1.

Alessandro Borghi, che è di una bravura che va oltre l’immaginabile, sta insistendo affinché il film vada visto al cinema, ed ha sicuramente ragione. C’è anche da dire, però, che #bastanetflix, e il silenzio di casa, per entrare in una storia che drammaticamente potrebbe essere la storia di tutti.

Punto 2.

Il film non è un atto di accusa verso le forze dell’ordine. Il film è un atto di accusa verso un sistema nel quale ci sono tutti: le forze dell’ordine, i giudici, gli avvocati, i medici, gli infermieri, noi. Il film è una denuncia di un fatto di cronaca in cui è tutto sbagliato. Non ci sono botte ma lividi, non ci sono domande ma risposte taciute, non ci sono cure ma attese, non c’è condivisione ma solitudine.

Punto 3.

Stefano Cucchi non era innocente e nel film si dice.

Stefano Cucchi ha rifiutato le cure e nel film di dice.

Stefano Cucchi non meritava di morire così e nel film si capisce.

Punto 4.

L’aggettivo che ho sentito più spesso in queste 12 ore dalle persone che hanno visto il film, e che ho usato anche io nel tweet, è “devastante”. Questo è un film che ti prende il cuore e te lo tiene in mano fino a che non è finito; è un film che quel cuore te lo spezza. E’ un film che ti sconvolge così profondamente, che ci vuole del tempo per ricominciare a parlare.

Punto 5.

La cosa più sconvolgente è che non è un film. Non è solo un film. E’ una storia vera, è la storia vera di una morte, la storia vera di una solitudine profonda, la storia vera di una negligenza (spero) rara, a tutti i livelli, di un sistema che, almeno in questo meccanismo, non ha funzionato.

Punto 6.

Il film, inteso come scelta e bravura degli attori, regia, fotografia, scenografia, sceneggiatura è PERFETTO.

Punto 7.

Se proprio devo fare un appunto il film doveva intitolarsi “Nella mia pelle” e non “Sulla mia pelle” perché il film ti entra nella pelle e poi scende fino alle ossa e non ti lascia. Stefano diventi tu in quella stanza dei Carabinieri, in carcere, in ospedale, Stefano sei tu.

Punto 8.

Vedetelo tutti, dove vi pare: a casa, al cinema, alle proiezioni collettive.

Vedetelo tutti perché solo così avrete la consapevolezza di quanto sia necessario non voltare la testa mai, di quanto sia obbligatorio diventare un paese più civile, di quanto non bisogna fermarsi alle apparenze mai, di quanto dire “Stefano scusaci” non sia abbastanza.

Vedetelo tutti perché vi serve.

vedetelo tutti.

E’ facile

E’ tanto che non scrivo post che non riguardino: libri, teatro, cinema.

Avrei voluto parlarvi di tante cose: Sanremo (Favino gnocco); Milano Fashion Week (Scervino strabiliante); i fatti di Cisterna (l’orrore vero!); la maestra contro il poliziotto (io boh!) ma ci sono dei momenti in cui fai delle RIFLESSIONI sulla tua esistenza e non hai voglia di parlare.

Ci sono dei momenti in cui ti senti così profondamente TRISTE che tutto il resto ti sembra inutile.

Ci sono dei momenti in cui realizzi che niente sarà più come PRIMA.

Ecco, in questi momenti ti rendi conto di alcune banalità (ne bastano appena 5) che hai bisogno di fissare in un post.

  1. E’ facile stare accanto a qualcuno quando va tutto bene ma quando il mare è in tempesta, e tu non sei pienamente in forma, resta solo chi vale davvero la pena che resti.
  2. E’ facile dire ad una persona “ti amo”, è facile pensare solo al “proprio” amore; più difficile è cogliere il momento dell’altro, più difficile è capire perché si sta ricevendo un “no”, questo lo capisce solo chi ama davvero e chi non lo capisce sta bene da solo.
  3. E’ facile pensare che una persona sia una stronza, più difficile è spiegarne le motivazioni.
  4. E’ facile non invitare ad un evento la stronza di cui sopra, pur avendo invitato pure la maestra delle elementari, più difficile avere il coraggio di motivare l’esclusione.
  5. E’ facile puntare il dito non sapendo, più difficile tenerselo in tasca anche se fa freddo.

E dalla sezione “pippe” è tutto, torno ai libri, teatro, cinema… saluti.

 

Le otto montagne 

“Chi ha vinto il premio Stega quest’anno?””Paolo Cognetti”

“Non lo conosco. Titolo del libro?”

“Le 8 montagne”

“Ok, non lo compro. Io le odio le montagne”

E poi, invece, l’ho comprato e finito in 24h.

Che vi posso dire?! Da anni non trovavo un premio Strega così incredibilmente strameritato!

Un libro bello, bellissimo.

Poetico, delicato, romantico, modernamente classico, dolce, duro.

Bello.

Le montagne sono lo sfondo, sono la cornice e la radice. Poi ci sono la famiglia e l’amicizia. Una profonda, grande e commovente amicizia tra Pietro e Bruno.

Un cittadino il primo, un montanaro il secondo; un solitario per scelta il primo, un solitario per necessita il secondo.

C’è anche un irrisolto rapporto padre-figlio; ci sono tante di quelle cose che non ti stacchi fino a che non l’hai finito.

È proprio bello.

Mi sono commossa ad un certo punto e non è la fine.

Ci sono richieste di aiuto più o meno velate; ci sono risposte più o meno dirette; c’è l’amore non manifesto, la complicità naturale, la necessità di condividere.

La montagna pure è presente, molto presente ma discreta come lo è naturalmente.

Meno irruente del mare, più silenziosa, più delicata eppure crudele come da copione.

Davvero bello, bravi voi dello Strega, ottima scelta quest’anno.

Friendship

È un po’ di giorni che rifletto sui rapporti interpersonali ed in particolare sull’amicizia e penso che per me esistono delle sostanziali differenze tra gli amici.

Gli amici sono un regalo. Gli amici sono un miracolo. Quando li trovi devi baciare per terra. Sono quelle persone con cui non servono parole; a cui non hai bisogno di raccontare nulla perché già sanno tutto; a cui non serve descrivere sfumature di colore perché le sfumature di colore sono loro; quelli con i quali basta uno sguardo, due sono troppi. Sono loro e punto.

Diversi da loro ma prossimi all’arrivo sono i quasi amici quelli con i quali è subito amore, che conosci da poco ma che già sai  diventeranno importanti; quelli con i quali ritrovi quasi subito un’affinità elettiva che va sviluppata e svilupperai.

Ben altro discorso va fatto per coloro che ambirebbero a diventare amici ma non lo diventeranno mai ossia i conoscenti. Questi fanno parte di una cerchia più o meno ampia. Ci sono, è piacevole, può essere divertente passarci una serata, pranzare insieme a loro ma poi tu a casa tua e io a casa mia. Senza esagerare, non c’è bisogno, non serve a nessuno. Ci sei, va bene; non ci sei va bene uguale.

Poi, purtroppo o per fortuna, la vita ci porta a condividere l’esistenza con altri personaggi che poco c’entrano con te ma con i quali sei costretto a convivere e questi si chiamano: colleghi. Questi non sono amici, nè quasi amici, nè conoscenti eh! Questi sono come i parenti: te li trovi, non li scegli. Ci devi passare una media di 8/10 ore al giorno e devi sperare che ti vada bene. Certo puoi trovare il modo di farlo andar meglio ma non illuderti. Lavoro da 13 anni nello stesso posto e quelli che hanno raggiunto il grado di amici si contano sulle dita di una mano ed è giusto così!

Da ultimo (come quando decido di parlare bene), ci sono i SOLI e di questi bisogna aver paura. I soli sono fondamentalmente dei sociopatici che per non affrontare la realtà della loro solitudine si attaccano a chiunque, anche a chi hanno denigrato fino ad un minuto prima. Sono quelli che girano come gira il vento; che hanno talmente tanta paura di rimanere con loro stessi che si attaccano allo zerbino del vicino. Ecco, questi mi fanno paura sono più falsi di una moneta da 3€, questi vanno evitati come la peste perché oggi lo zerbino sei tu domani quello del piano di sopra ma, carissimi, i sentimenti sono un’altra cosa; l’amicizia è una cosa seria e non va sprecata con cotali personaggi.

 

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Io cuore Peppino

Delicato, tenero, incantevole ecco i tre aggettivi che userei se dovessi in 3 parole descrivere questo romanzo.
Un posto anche per me di Francesco Abate.
Non si può non rimanere affascinati da Peppino, non si può non essere toccati da lui, dalla sua gentilezza dalla sua solitudine, dalla sua tristezza.
Che bel personaggio; che bel libro.
Te ne accorgi subito, dalle prime pagine, che rimarrai legata a Peppino, che ti farà una pena indicibile, che vorresti conoscere e coccolare e volergli bene. Perché Peppino é un bimbo cicciottello, orfano di madre, che dalla ricca Svizzera viene deportato in Sardegna dai nonni paterni che non lo vogliono.
E non lo vuole nessuno a Peppino e, dopo un po’ che leggi, non puoi non volerlo tu. Vorresti entrare nel libro a prendertelo e a dargli un po’ d’amore.
Un po’ toccatello è Peppino e se ne approfittano tutti.
Lo conosci che fa le consegne al ristorante di Zio Mino, con un unico amico Tunisino con cui forma il nr. 10 (ciccione lui e magro l’altro) o Dolce e Gabibbo, nella notte di Capodanno.
È una storia dolce quella di Peppino che racconta lui stesso, con una serie di flashback, all’amata Marisa.
Non puoi non rimanere travolto dalla solitudine, l’amore, la disperazione, la malavita; non puoi non parteggiare per lui, unico buono in un mondo di cattivi; non puoi non sognare un lieto fine per questo ragazzo sovrappeso che fa il giro di Roma sui bus da Pomezia e che viene maltrattato e tradito da tutti, primo tra tutti, dal padre.
Si sovrappongono le figure intorno a Peppino: Nonna giovane e Nonna vecchia; Nonno; Marisa; Don Gibusi; Omero; il cane Tobia; zio Mino; i ragazzi del 167… tutti, o quasi tutti, con l’unico scopo di farlo sentire un perdente.
E allora il libro finisce e quando finisce pensi che vuoi bene a Peppino e che sia giusto che anche lui, come tutti, trovi un posto per tutto per sè.