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La giostra dei criceti

Vi racconto prima di tutto il seguente episodio.L’altro giorno stavo leggendo il mio libro e mi accorgo che ero a più del 50% della lettura (sapete il Kobo come fa, no?!).

Vabbè, panico in vista del lungo week end di sole e mare.

Provo a scaricare un nuovo libro ma la Wi-Fi non ne voleva sapere, mi dava messaggi senza senso.

Allora pensa che ti ripensa: già mi immaginavo in viaggio sotto i 40gradi alla Feltrinelli ma andava bene anche perché nel frattempo la percentuale di lettura diventava 60%… 

Poi ieri mattina mi metto al tel con la Vodafone e trovo una ragazza tanto carina che mi aiuta a far ripartire la Wi-Fi, aspetto qualche ora e scarico il mio nuovo futuro libro potendo finire questo in santa pace. 

Tutto è bene quel che finisce bene. 

Il libro, intanto, che è passato da 60 a 100% di lettura, è La giostra dei criceti di Manzini.

Io adoro Manzini, già sapete, e questo è un suo vecchio libro ripubblicato.

Quando leggo Manzini certe volte penso: è matto, ma come gli vengono?! 

Qui c’è la pseudo banda della Magliana che fa un colpo in banca e poi nessuno può fidarsi più di nessuno. Complici, amici, parenti tutti in pericolo a guardarsi le spalle.

Che delirio… che criceti in giostra!

Fa ridere; è sufficientemente sporco e splatter; cinico e irreale.

La parallela fanta storia dell’INPS è talmente ridicola da sfiorare il reale. 

Manzini sa scrivere di Rocco e di tante altre mille cose che con Rocco non c’entrano niente ed ha una fantasia che solo uno scrittore illuminato può avere.

La scrittura è sempre veloce, pulita, appassionata senza troppo impegno. 

Adoro.

Consiglio vivamente i criceti in gabbia e io mi butto nel mio nuovo acquisto.

A presto. 

PS: sig.ra Vodafone sentitamente ti ringrazio. 

Hai capito la Mongolia?! 

Dunque, io ho questo amico, di cui ho già parlato varie volte, con cui condivido la passione per i libri.Più che altro lui me li consiglia e, a volte, li abbandona e io li finisco. 

Lui mi consigliò Il potere del cane, mio libro preferito, e varie altre letture non altrettanto fortunate.

Quarta è stata la volta di Yeruldegger – morte nella steppa di Ian Manook.

Ma che vi devo dire? Fico, assai fico.

Trattasi di un poliziotto ma mongolo.

Ora questa è un’assoluta novità perché gli omicidi ed i gialli possono essere, voi mi insegnate, tutti uguali ma l’ambientazione mongola è un’assoluta novità.

Bisogna trovare gli assassini di una bimba morta cinque anni prima e ritrovata da una comunità di nomadi che affidano l’anima della bimba stessa al poliziotto; e di due cinesi con altrettante prostitute, morti in un modo a dormire poco splatter.

Il poliziotto si affida ad un’ampia squadra composta da altra poliziotta, da un medico legale, sua amica particolare; e varie figure di contorno.

Non vi dirò molto della trama perché, sebbene ben articolata, è comunque la trama di un giallo che starà a voi seguire; la cosa che mi ha colpito di più è stata senz’altro l’ambientazione e tutto quello che essa ne comporta. 

Nel giro di un mese ho sfiorato la Mongolia ben due volte: prima andando in Russia e scoprendo che distava da me poche ore di treno; poi con questo libro.

Bè non è che parliamo degli USA, la Mongolia è una meta quanto meno insolita.

Ho scoperto così, grazie al libro, che trattasi di una terra ricca di tradizioni che Yeruldegger si trova, insieme ad i suoi compari, a vivere prima ed a raccontarci poi. 

Ho appreso che i mongoli a colazione mangiano pane con panna e marmellata di mirtilli; che la loro bevanda preferita è il the al burro salato; che vivono nella yurta, nella quale però bisogna seguire una serie di simbolismi tipo: entrare con il piede giusto, non portarvi armi, non fumarvi dentro… il tutto per non inimicarsi gli spiriti; c’ha hanno tutto un rituale per i funerali durante i quali è proibito piangere. 

Nella steppa poi si impara a combattere con gli orsi, a non farsi uccidere dai serpenti, a guarire dalle scottature e dalle infezioni.

Insomma il libro, con una scrittura pulita, veloce, per niente esagerata, a volte decisamente cruda (direi anche un po’ splatter) ci descrive tutta una serie di luoghi e tradizioni ai più (soprattutto occidentali) assolutamente sconosciuti.

Mi è piaciuto molto, è stato davvero bello entrare in un mondo lontano anni luce dal nostro.

Per quanto riguarda la storia: l’impiccio c’è e posso tranquillamente affermare che… non finisce qui!

Buona lettura. 

Salvali tutti Jeeg

Ma quanto abbiamo bisogno di favole.

Ma quanto abbiamo bisogno di fumetti, di eroi, di supereroi?!

Direi tanto a giudicare dalla quantità di film sull’argomento che stanno uscendo.

E pure noi in Italia, pure noi a Roma ci siamo cimentati nel genere e, devo dire, con successo.

Mi è piaciuto assai Lo chiamavano Jeeg Robot, ma assai proprio.

Ammetto che la prima volta che ho visto il trailer la cosa che mi spingeva a dire “andrò” era la presenza di Santamaria, poi mi sono convinta sul film.

Zozzo, tanto zozzo ma non nel senso di porno quanto proprio di sporco. Sporca l’ambientazione, sporchi i personaggi, la prima scena finisce con un bagno nel Tevere e la voglia di farsi la doccia è immediata!

Lui è un piccolo delinquente che vive nella spazzatura praticamente e con lui anche quelli, al pari delinquenti ma più organizzati, con un capo tanto violento quanto ridicolo.

Uno dei tanti, quindi, se non fosse che si trova ad avere una forza straordinaria a seguito di un episodio che non vi sto qui a dire…sennò vi rovino la sorpresa.

Aiuta il padre di una mezza matta in un colpo e la sua vita, proprio grazie a questa mezza matta/principessa, cambia.

Il bene e il male. In realtà c’è più male: Roma sotto attacco terroristico; i criminali in balia di criminali più grossi; Roma contro Napoli; buoni contro cattivi.

Ma che passione doveva avere questo regista (Gabriele Mainetti) per i cartoon, ma quanto deve averci pensato prima di realizzarlo, ma quanto sono stati coraggiosi ad andargli dietro.

Sono bravi. Tutti. È bravo Santamaria, appesantito ma sempre notevole con un’espressione che passa dall’incredulo all’orgoglioso; è bravissima Alessia, la nostra principessa, perfetta per la parte: dolce, svampita, intensa; fa davvero ridere Lo zingaro, soprattutto per i suoi gusti musicali.

Splatter, schifoso (in alcune scene: si menano, tagliano dita, spaccano teste che la mano davanti agli occhi è necessaria), violento, tarantinesco ma anche dolce e romantico (la mia scena preferita, manco a dirlo, è quella del tram!).

Ben fatto il film, riuscita la trama, bravi i protagonisti. Un gioiellino. Assolutamente da vedere, consigliatissimo!

PS: per una volta che trovo il mio nome (Nunzia) in una pellicola cinematografica l’hanno affibbiato ad una camorrista senza scrupoli. Quale giustizia c’è a questo mondo?

Il bene vince sul male 

Ho visto Il racconto dei racconti che sarebbe la trasposizione cinematografica dei racconti “Lo cunto de li cunti” di Giambattista Basile.Bene, ora lo so e ve lo dico perché, se non lo sapete, il film potrebbe diventare un po’ ostico… Diciamo!

Come al mio solito sono arrivata al cinema senza sapere niente del film, a parte che trattavasi di film in costume, che sicuramente era fantastico ma non potevo immaginare quanto!

Parte più o meno tranquillo, con una coppia (re e regina) che non riescono ad avere figli e arriva un bruttone che gli racconta come fare ma che soprattutto gli spiega che per avere una vita bisogna accettare una morte, per mantenere l’equilibrio. 

E cosi c’è la morte, il drago, due gemelli albini, una regina un po’ stronza, legami indissolubili, cattiveria, sangue. Ma il bene vince sul male.

Poi, cambio di scena, non troppo correlato e allora: re e figlia, che il re adora, salvo poi innamorarsi di una pulce che diventa gigantesca e che sarà la condanna della figlia costretta a vivere come la bella e la bestia, solo che qui la bestia oltre ad essere brutta é pure cattiva. Ma poi, dopo mille peripezie, il bene vince sul male.

Poi di nuovo cambio di scena e c’é il re che si fa pure le sampietrine che viene colpito dalla voce di una vecchia e fa di tutto per averla, la vecchia va ma é orribile, lui se ne accorge e la vuole uccidere ma non ci riesce e la vecchia diventa giovane ma un po’ cattiva e tratta male la sorella ma, pure qui, alla fine il bene vince sul male.

E questa è la morale, il legame tra i tre racconti nel castello… Il bene vince sul male.

Ora per raccontarcelo, Garrone usa: una fotografia spettacolare; paesaggi fiabeschi, castelli meravigliosi; protagonisti bellissimi o orribili, ai limiti del vomito; immagini splatter con fiumi di sangue; vecchie rugose, giovani botticelliane… insomma una tale varietà di elementi che ti fa male la testa.

Cosa resta del film?! I colori: il rosso meraviglioso dei tramonti, il verde intenso del bosco; l’ocra delle grotte. Cosa si fa fatica a trovare?! Un nesso tra la pulce, la vecchia, il drago… O forse no perché alla fine Il bene vince sempre sul male e forse solo questo deve rimanere.

Comunque bravo lui, sempre originale, sempre incredibile; sempre inevitabilmente da vedere.

Oh, detto tutto questo resta una domanda: ma Garrone, perché gli hai fatto fa’ quella finaccia agli unici attori italiani presenti nel cast?! Porelli!